Nonostante le accortezze usate e il rispetto delle norme gli associati hanno visto i loro atti rifiutati da due Uffici delle Entrate, quelli di Roma e Frosinone, che non hanno voluto registrarli per “mancanza degli strumenti idonei al controllo delle sottoscrizioni”. Di fronte a questo inspiegabile controsenso, che confligge con tutte le direttive e gli sforzi messi in atto negli ultimi anni per digitalizzare e semplificare il rapporto tra cittadino e PA, i deputati radicali per iniziativa di Matteo Mecacci hanno presentato un’interrogazione parlamentare per richiamare l’attenzione su questa stortura del sistema.
Nel documento i radicali ribadiscono come non si possa far pagare al cittadino l’inadeguatezza di alcune PA nell’affrontare il cambiamento che la digitalizzazione comporta (“la mancanza interna di strumenti non può essere opposta al diritto soggettivo del cittadino di registrare un determinato atto e/o documento, purché questo sia conforme alla normativa italiana e sia redatto nelle forme consentite dall’ordinamento”), e sottolineano non in ultima analisi il danno economico che lo Stato subisce quando gli enti preposti, non accettando documenti informatici correttamente formati e sottoscritti, non riscuotono parimenti neanche “l’imposta dovuta ma non potuta versare dal cittadino per inerzia ed impreparazione dell'Amministrazione”.
Poiché l’ultimo comma dell’art.34 del CAD prevede esplicitamente che tutte le PA posseggano strumenti di verifica della firma digitale, e l’Agenzia dell’Entrate si sta impegnando con energia ad attuare la digitalizzazione, viene spontaneo chiedersi: com’è possibile che proprio due Uffici delle Entrate non ne sono ancora provvisti?