venerdì 1 marzo 2013

Stop al redditometro che viola la privacy


Con l’Ordinanza del 21 febbraio 2013, il giudice del Tribunale di Napoli, Sez. distaccata di Pozzuoli, ha inibito all’Agenzia delle Entrate di intraprendere qualsiasi attività di ricognizione, archiviazione, conoscenza e utilizzo dei dati relativi agli accertamenti di cui all’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, alla luce del fatto che il D.M. del 24 dicembre 2012, disciplinante il c.d. redditometro, deve considerarsi nullo, ai sensi dell’art. 21 septies della legge n. 241/1990.
Nello specifico, tra le diverse e articolate motivazioni dell’Ordinanza in commento, rileva quella relativa alla violazione degli artt. 2 e 13 Cost., 1, 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali della UE, nonché l’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, poiché la disciplina sul redditometro prevede la raccolta e al conservazione di tutte le spese poste in essere non solo dal soggetto contribuente, ma dall’intero nucleo familiare, “che viene, quindi, definitivamente privato del diritto ad avere una vita privata, di poter gestire autonomamente il proprio denaro e le proprie risorse ad essere quindi libero nelle proprie determinazioni senza dover essere sottoposto all’invadenza del potere esecutivo e senza dover dare spiegazioni dell’utilizzo della propria autonomia e senza dover subire intrusioni anche su aspetti delicatissimi della vita privata quali quelli relativi alla spesa farmaceutica, al mantenimento e all’educazione impartita alla prole e alla propria vita sessuale”.
Inoltre, il giudice pone in rilievo la soppressione definitiva di ogni privatezza e dignità riguardante, non solo il singolo contribuente, ma in realtà tutti i componenti del nucleo familiare.
Il decreto impugnato, dunque, di fatto conferisce all’Agenzia delle Entrate un potere che va manifestamente oltre quello dell’ispezione fiscale consentito astrattamente dall’art. 14, co. 3, Cost., che in via eccezionale e tassativa non richiede la riserva di giurisdizione: il provvedimento ministeriale, in effetti, contempla “un potere di acquisizione, archiviazione e utilizzo di dati di ogni genere che nulla ha a che vedere con la mera ispezione, rappresentando un potere di cui non gode persino l’autorità giudiziaria penale”.
Da ultimo, di particolare interesse è l’inquadramento sistematico dei principi di riservatezza e di privatezza effettuato nell’Ordinanza in commento, annoverati tra i diritti fondamentali di cui all’art. 2 della Costituzione e dall’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e che, dunque, non possono essere degradati a interessi legittimi per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo. Sul punto, il giudice ha rilevato che non può esservi “né dignità, né libertà ove non vi sia protezione e piena autonomia delle proprie scelte quotidiane che si svolgono all’interno della legalità, autonomia che comporta ovviamente il non dover giustificarsi delle proprie scelte se non in casi di assoluta eccezionalità e in presenza di circostanze specifiche, concrete e determinate”, anche in ossequio al principio di proporzionalità. 

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