Mettere a disposizione di chicchessia il proprio forum, permettendo di inviare post e commenti senza effettuare alcun controllo preventivo potrebbe essere molto rischioso! È quello che è successo a una giovane blogger, amministratrice di un sito internet, condannata per diffamazione per la presenza nel forum del sito di commenti diffamanti nei confronti di una casa editrice e della titolare della medesima.
Secondo quanto si è avuto modo di apprendere (fonte: http://www3.varesenews.it/), un giudice per le indagini preliminari di un tribunale veneto ha condannato per diffamazione la blogger, attribuendole la responsabilità dei commenti diffamanti per il fatto che “la disponibilità dell’amministrazione del sito Internet rende l’imputata responsabile di tutti i contenuti di esso accessibili dalla Rete, sia quelli inseriti da lei stessa, sia quelli inseriti da utenti”.
Sempre secondo tale pronuncia, inoltre, l’esistenza o meno di una forma di filtro non sarebbe rilevante in quanto, se nel primo caso i contenuti lesivi dell’altrui onorabilità devono ritenersi specificamente approvati dall’amministratore del sito, nel secondo caso, invece, i contenuti lesivi dell’altrui onorabilità sarebbero da considerarsi genericamente e incondizionatamente approvati dallo stesso amministratore. Inoltre, circostanza ancor più sconcertante, la clausola di attribuzione esclusiva di responsabilità agli autori dei commenti, contenuta in un “regolamento” del sito web, non è stata ritenuta dal Giudice idonea a escludere la responsabilità penale della giovane imputata. In tal modo, il Giudice ha implicitamente configurato una forma di responsabilità oggettiva che sarebbe sorta in capo all’imputata per il solo fatto di aver aperto un blog: se tale assunto fosse confermato dal testo integrale della pronuncia, costituirebbe un’inaccettabile violazione del principio di personalità della responsabilità penale, ex art. 27 della Costituzione.
Per il giudice “chi apre una pagina web è responsabile dei suoi contenuti” e, aggiungiamo noi, con responsabilità si dovrebbe comportare nella sua gestione.
Ma siamo sicuri che la persona offesa dal reato sia effettivamente tutelata dalla condanna dell’amministratrice del sito? E la responsabilità di chi ha materialmente commesso il reato? Non ci dimentichiamo infatti che gli autori dei commenti diffamanti non sono stati individuati e sono rimasti impuniti.
Pochi giorni fa la presidente della Camera dei Deputati Boldrini ha fatto riflettere: denunciare gli autori di questi contenuti sul web "è come svuotare il mare con un bicchiere. Credo che ci dobbiamo tutti fermare un momento e domandarci se vogliamo cominciare a pensare alla rete come a un luogo reale, dove persone reali spendono parole reali, esattamente come altrove. Cominciare a pensarci, discuterne quanto si deve, poi prendere delle decisioni misurate, sensate, efficaci. Senza avere paura dei tabù che sono tanti, a destra come a sinistra. La paura paralizza. La politica deve essere coraggiosa, deve agire".
Il pensiero della Boldrini è senz’altro condivisibile e si scontra pesantemente con quanto affermato nella sentenza esaminata. La rete non può più rimanere il luogo dell’anonimato (i tempi non lo permettono più!) in quanto è diventata strumento di comunicazione, di condivisione, di scambio e di sviluppo di servizi per cittadini, professionisti, PA e imprese. E anche nella rete dovrebbe vigere il principio della responsabilità della “persona digitale” così come responsabile delle proprie azioni è la persona reale (http://www.digitalaw.blogspot.it/2013/05/le-scandalose-parole-della-boldrini.html).
È l'identificazione dell'autore della diffamazione, non l’attribuzione di responsabilità oggettiva nei confronti dell’amministratore di un sito, l'unico modo per tutelare chi subisce un illecito on line. Tutt’al più, l’amministratore potrebbe essere ritenuto responsabile per non aver posto in essere delle procedure atte alla segnalazione di commenti diffamanti, come prescritto dall’art. 17 del D.Lgs. n. 70/2003, ma non può essere considerato responsabile a priori dei relativi contenuti.
Sentenza assurda che sarà sicuramente ribaltata nel secondo grado del giudizio. Se non sbaglio si cita addirittura una legge del 1948 .... probabilmente si trattava di un Giudice vecchio stampo poco aggiornato con l'evoluzione normativa del diritto dell'internet!
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