In una sentenza della Corte di Cassazione depositata ieri (n.33179) si è stabilito che le comunità virtuali che sostengono e diffondono l’odio razziale sono soggette alle medesime pene per i reati associativi previste dalla legge 654/1975.
La sentenza arriva in risposta al ricorso del coordinatore di un sito internet di stampo xenofobo il quale sosteneva di dover essere assolto da ogni condanna, non riconoscendo il potere decisionale del giudice italiano (dal momento che il sito era stato realizzato negli Stati Uniti e si appoggiava su un server estero) e pretendendo di dover essere considerato alla stessa stregua di un direttore di giornale.
Secondo la Cassazione, invece, la competenza del giudice italiano in questo caso è fuori discussione, anche perché, sebbene il sito madre sia stato registrato all’estero, l'offesa razziale veicolata attraverso di esso ha raggiunto gli utenti italiani. Né in questo caso ci si può appellare alla libertà di pensiero e di associazione: libertà che vengono meno quando utilizzate per fomentare l’odio razziale. Infine è stato giudicato che la posizione del coordinatore non sia assimilabile a quella di un direttore di giornale, in quanto il blog non è catalogabile come un prodotto editoriale «stampato» e che la struttura organizzativa propria del blog incriminato, attorno al quale si è costituita una comunità virtuale stabile, permetta di configurarlo come un’associazione a delinquere.
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