Diventati già da tempo pratica di buona amministrazione negli Stati Uniti e in diversi Paesi europei arrivano anche in Italia gli Open Data, ossia banche dati detenute da strutture pubbliche e raccolte con i soldi dei contribuenti che vengono rese consultabili e messe a disposizione dei cittadini (tornando sostanzialmente nelle mani di chi li ha pagati). I due comuni apripista in questa iniziativa sono stati quelli di Firenze e Udine, il cui esempio verrà a breve seguito da Torino, Matera e Roma. Dei primi passi erano già stati compiuti dalla Regione Piemonte, che da qualche anno ha messo a disposizione via Internet dei dati istituzionali, ma l’evento di maggiore impatto e più atteso sarà la fruibilità dal computer di casa della grande quantità di dati raccolti dall’Istat. Studi accurati (oltre all’esperienza dei Paesi che li hanno già adottati) dimostrano che gli Open Data garantiscono non solo una maggiore trasparenza ed efficienza della PA, ma hanno un impatto positivo sull’intero sistema e sulla cittadinanza, che informandosi ha gli strumenti per compiere delle scelte più oculate (per esempio in ambito sanitario, o per quanto riguarda la pubblica istruzione), stimolando a sua volta la PA a un funzionamento maggiormente virtuoso.
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