La vicenda giudiziaria è relativa a un filmato, pubblicato su Internet nel 2006 da quattro studenti di una scuola di Torino utilizzando “Google video”, che aveva come protagonista un minore disabile, affetto dalla sindrome di Down, insultato e picchiato da quattro compagni di scuola. Il video, cliccatissimo nella sezione "video più divertenti", è rimasto on line fino al 7 novembre successivo, prima di essere rimosso. Già dai primi passi della vicenda si è profilata una netta contrapposizione tra i magistrati titolari del fascicolo, secondo i quali il diritto di impresa non deve prevalere sulla privacy e sulla tutela dei diritti della persona, e il colosso del web, secondo cui questa vicenda giudiziaria è un attacco ai princìpi fondamentali di libertà che sono alla base di Internet.
Il giudice milanese, in particolare, ha messo l’accento sulla carenza e inefficacia dell’informazione sulla privacy del motore di ricerca. “L’informativa sulla privacy - scrive infatti nelle motivazioni - era del tutto carente o comunque talmente nascosta nelle condizioni generali di contratto da risultare assolutamente inefficace per i fini previsti dalla legge. In particolare deve ritenersi che il reato nel caso in questione sia stato sicuramente commesso anche all’estero. […]. Non vi è dubbio che per lo meno parte del trattamento dei dati immessi a Torino sia avvenuto fuori dall’Italia, in particolare negli Usa, luogo dove hanno indubitabilmente sede i server di proprietà di Google”.
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