Dopo un lungo e lucido confronto istituzionale in Banca
d’Italia in merito alla regolamentazione in Italia dei futuri processi di
dematerializzazione degli assegni, ho seguito stamattina il prestigioso
convegno “Educare alla Rete” -
svoltosi in data odierna dalle 11.30 in poi presso la sala convegni di Piazza
Montecitorio a Roma - organizzato dal Garante per la protezione dei dati
personali (anche in occasione della presentazione della omonima pubblicazione
cartacea) con la partecipazione del Ministro per l’istruzione, dell’università
e della ricerca, Maria Chiara Carrozza,
del Commissario di Governo per l’attuazione dell’Agenda Digitale, Francesco Caio, del Direttore della
Rai, Luigi Gubitosi e del Presidente
dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, Antonello Soro.
Da un convegno del genere, con personaggi così illustri, c’era
da aspettarsi tanto: aperture verso il futuro digitale, importanti prese di
posizione, strategie lungimiranti e tensione verso i nuovi binari targati 2.0,
con (ovviamente) attenzione costante alla delicata questione dei dati personali
da trattare. Invece, come purtroppo troppo spesso succede, poco o nulla di
nuovo all’orizzonte. E quel poco era anche sofferto e raramente lucido.
Non è facile la
strada della digitalizzazione ed è senz’altro importante che la Rai educhi i cittadini
italiani, come peraltro è previsto da tempo – inutilmente - nel Codice
dell’amministrazione digitale, dove si chiede con forza che i cittadini siano
alfabetizzati e i dipendenti pubblici formati in materia di digitale.
Quindi, gli intenti
del Garante sono nobili e gli sforzi apprezzabilissimi, ma da questi incontri
si evince purtroppo come del roboante e pomposo “bla, bla, bla” poco rimane se
non la sensazione che il digitale sia ancora una noiosa nota a margine per le
nostre politiche nazionali e soprattutto quanto le nostre istituzioni
subiscano tra loro un pericoloso scollamento, perseguendo obiettivi diversi e
avvertendo la stessa materia del digitale secondo dinamiche differenti e
livelli di attenzione opposti.
Il Ministro dell’istruzione candidamente ha ammesso la
propria inadeguatezza in materia, scarsa conoscenza sulla particolare e
complessa tematica, pur confermando un’attenzione istituzionale. Il Direttore
della Rai, anche se con un avvio tecnologicamente controverso, è riuscito a far
trasmettere un vivace video promozionale dal quale si evinceva un impegno della
Rai verso questi temi. Il Garante ha dimostrato dimestichezza nell’affrontare la
questione dal punto di vista della protezione del dato personale in un mondo
che utilizza ormai quotidianamente e diffusamente strumenti di accesso al
digitale (dal pc al tablet sino allo smartphone, i quali consentono
un’interazione costante con i mondi social). E il Commissario di Governo per
l’attuazione dell’Agenda Digitale ha svolto, pur con rispettabile rigore, il
suo compitino parlando del suo mondo immaginifico: l’Agenda Digitale con i suoi
tre obiettivi primari e i suoi diversi strumenti (PEC, firma digitale,
documento digitale unificato e così via).
Peccato che nei processi di “educazione alla rete” individuati
dal Garante di questi strumenti non ci sia traccia. Sembra quasi che si stia parlando di due mondi distinti: l’odierna realtà digitale da una parte
(dei rischi della quale si interessa il Garante e, con diversi gradi di
attenzione, le altre istituzioni coinvolte), e la rivoluzione digitale che si insegue dal 1993 (e di cui si
interessa chi si occupa oggi di Agenda Digitale).
O almeno questa è stata la spiacevole sensazione che ho
avvertito durante il convegno: una evidente cesura tra ciò che c’è e si vede e
ciò che ancora non si vede e si sogna da anni, pur se continuiamo pubblicamente
a dichiarare che sta per arrivare.
E i fallimenti della
Carta di identità elettronica e da ultimo dell’AVCPASS ne sono l’evidente
attestazione.
C’è una ferita che continua a sanguinare in Italia per chi
si occupa con attenzione ed entusiasmo di queste materie e non possiamo
continuare a chiudere gli occhi, facendo finta di nulla.
L’Italia non lo merita.
Perché è vero quando si dice e si ripete che noi siamo
all’avanguardia su queste tematiche più tecniche, ma è pur vero che occorre
guardare con attenzione la realtà che c’è, quella del web 2.0, se vogliamo
davvero rendere operativi gli strumenti di digitalizzazione su cui stiamo
puntando da vent’anni a questa parte.
E c’è senz’altro bisogno di alfabetizzazione diffusa (e ben
vengano quindi queste iniziative), ma anche di formazione di professionalità
nella PA e nel mondo dell’impresa. E
soprattutto dobbiamo metterci d’accordo su cosa e come insegnare e per realizzare
quali processi.
Facciamolo subito (e troviamo i fondi necessari).
E soprattutto, che le Istituzioni si mettano d’accordo tra
loro su cosa fare …e magari si facciano anche aiutare da chi queste materie le
studia da anni!
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